La sorte dei debiti e dei crediti della società estinta
Il mancato inserimento di una posta attiva nel bilancio di liquidazione quale mera presunzione di volontà rinunciativa
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In tema di estinzione di società e di successione nei rapporti, di debito e di credito, esistenti in capo alle stesse, si rivela sempre attuale la decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 12 marzo 2013, n. 6070, rel.re dott. R. Rordorf (identicamente, Cass. nn. 6071/2013 e 6072/2013).
In questo fondamentale arresto si è innanzitutto precisato che la società si estingue per il fatto della sua cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dall’esistenza o meno di rapporti ancora aperti in capo alla stessa. In particolare, si tratta del caso in cui la cancellazione sia avvenuta in epoca successiva al 1 gennaio 2004, cioè dopo la riforma di diritto societario di cui al d. lgs. n. 6/2003. Peraltro, le Sezioni Unite hanno precisato che restano fermi i diversi principi giuridici elaborati in alcuni arresti precedenti, concernenti alcune conseguenze della prosecuzione dell’attività sociale nonostante la cancellazione (cfr. ancora Cass. n. 6070/2013).
La sorte dei rapporti giuridici di cui la società era parte, dunque, si configura come questione di successione negli stessi, con alcune differenze a seconda che si tratti di crediti o di debiti, della tipologia di società e, soprattutto, dalla responsabilità limitata o illimitata dei singoli soci.
Per quanto riguarda i debiti, questi passano in capo ai soci illimitatamente responsabili per intero, mentre per i soci limitatamente responsabili (come quelli di una s.r.l. o di un accomandante nella s.a.s.), il passaggio avviene solo nel caso in cui questi abbiano ricevuto delle somme in sede di liquidazione e fino alla misura massima di quanto così conseguito.
Il discorso diventa più articolato per quanto attiene ai crediti. Qua il problema risiede ovviamente nella loro eventuale mancata inclusione nel bilancio di liquidazione e quindi nell’omessa considerazione degli stessi nel riparto dell’eventuale attivo residuo a favore dei soci.
Nel caso in cui una posta attiva non venga inserita all’interno del bilancio di liquidazione, tale condotta potrebbe essere interpretata quale rinuncia tacita alla stessa, a condizione che si tratti di una posizione attiva dotata di un certo grado di incertezza: la S.C., in particolare, indica a titolo esemplificativo il caso delle ‘mere pretese’, ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità di individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito; similmente, nel caso di diritti di credito controversi e illiquidi. Diversamente, qualora si tratti di «un bene o un diritto che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, in quel bilancio avrebbero dovuto senz’altro figurare, e che sarebbero perciò stati suscettibili di ripartizione tra i soci (al netto dei debiti)», allora la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione non potrà essere intesa come rinuncia tacita. In quest’ultimo caso, venuto meno l’ente si instaurerà tra i soci un regime di contitolarità del diritto.
La decisione delle Sezioni Unite menzionata, è poi intervenuta su ulteriori questioni di ampio respiro, come gli effetti sul piano processuale dell’estinzione della società (gli approdi ivi raggiunti, tuttavia, sono stati rivisti dalla di poco successiva Cass. civ., SS. UU., 4 luglio 2014, n. 15295, in cui si è optato nuovamente per l’ultrattività del mandato), senza soffermarsi oltre sulla sorte delle poste attive qualora la società venga appunto meno.
Sulla parte sostanziale, successivamente, si sono soffermate altre decisioni, anche molto recenti, tra le quali preme menzionare Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2020, n. 9464, poi confermata dalla successiva Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2020, n. 28439.
Con tali decisioni si è precisato che la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione ha solo valore meramente presuntivo circa la volontà di rinunciare a una determinata posizione soggettiva, dovendosi in ogni caso fare una valutazione di merito caso per caso, e in particolare si è puntualizzato che: i) anche i residui attivi e le sopravvenienze attive possono trasferirsi ai soci della disciolta società; ii) può ammettersi in astratto che la società possa rinunciare ai crediti suddetti, ma questa rinuncia non può presumersi ipso facto in base al solo rilievo che il credito non sia stato appostato in bilancio. Pertanto, per aversi la rinuncia è necessaria una manifestazione di volontà che, pur potendo essere tacita, dovrà essere comunque inequivoca: «il silenzio, infatti, nel nostro ordinamento giuridico non può mai elevarsi a indice certo d’una volontà abdicativa o rinunciataria d’un diritto, a meno che non sia circostanziato, cioè accompagnato dal compimento di atti o comportamenti di per sé idonei a palesare una volontà inequivocabile […] Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito» (cfr. ancora Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2020, n. 28439).
A ciò si aggiunga poi che, nella menzionata decisione n. 9464/2020, si precisa altresì che per aversi un’efficace rinuncia al diritto, oltre alla manifestazione inequivoca di una tale volontà da parte del relativo titolare, sarebbe inoltre necessario che essa venisse indirizzata specificamente al debitore, trattandosi di atto ricettizio. Ebbene, proprio in tale decisione si mette in discussione il fatto che la sola iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese, di per sé, integri il requisito della ricettizietà.
In conclusione, il solo fatto della mancata inclusione di una determinata situazione attiva all’interno del bilancio di liquidazione non dovrebbe condurre ad accertare una tacita volontà rinunciativa. In tale ipotesi, invero, si dovranno ponderare anche tutte le altre circostanze del caso, con una valutazione da eseguirsi di volta in volta in concreto; peraltro, per non tradire completamente la ricostruzione operata dalle Sezioni Unite nel 2013, si dovrà pur sempre tenere conto, assieme agli altri elementi eventualmente presenti, del grado di incertezza sull’esistenza e sulla fondatezza di quella determinata posizione attiva, quale fattore che potrebbe aver condotto alla predetta mancata inclusione della stessa nel bilancio di liquidazione.
9 gennaio 2021